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Sono seduto sulla veranda della mia casa, insieme alla mia famiglia: la mia compagna, i suoi figli, coloro che mi hanno dato l’amore di cui ho goduto nella mia vita.
Sono un ingegnere genetico, ho scoperto il modo di clonare l’essere umano senza danni o effetti collaterali, l’ho reso più forte, pressoché indistruttibile, capace di sopravvivere anche in assenza di ossigeno, e i miei ultimi studi sono stati sulla possibilità di variare a piacimento il peso molecolare dei componenti del corpo per consentire all’uomo di librarsi in volo.
Per questo vengo considerato patrimonio irrinunciabile della razza umana.
Per questo mi hanno riservato un posto sulla navetta che sta per fare il balzo verso un altro sistema solare, verso una nuova vita, perché il Sole si sta spegnendo.
Circa cinquecento milioni di anni fa il Sole diventò una gigante rossa​: esaurito pressoché tutto l’idrogeno che aveva in sé, iniziò a bruciare elio e si espanse fino a inglobare la terra, distruggendola. Gli astronomi del tempo, seppur con le rudimentali conoscenze e con i pochi mezzi a loro disposizione, riuscirono a prevedere l’evento per tempo, e organizzarono insieme ai governi di allora, l’operazione “Arca di Noè”: selezionarono il DNA delle migliori menti nei vari campi, le razze animali utili alla sopravvivenza umana ed iniziarono il salto verso la nostra attuale casa, Plutone. Venne infatti calcolato che, al momento della trasformazione del Sole in gigante rossa, Plutone sarebbe stato alla distanza ideale per avere la luce ed il calore ideale per la vita. Quel primo salto, tra la costruzione delle infrastrutture necessarie e il trasferimento vero e proprio, durò 2.500 anni.
E ci portò fino a qui.

Non ho ricordo dei primi tempi su questo piccolo pianeta, in cui i giorni durano quasi una settimana terrestre e gli anni un quarto di millennio: sono figlio di uno di quei DNA portati quassù dai primi coloni.
La storia racconta che i primi 400 anni furono davvero duri, perché il Sole non aveva ancora iniziato la sua trasformazione. Gli esseri umani vivevano tutti in una singola città protetta da una enorme cupola che li isolava dall’ambiente esterno, ostile e mortalmente gelido: la temperatura al suolo nelle migliori condizioni – quando il pianeta era nel punto orbitale più vicino al Sole e nel pieno della giornata​ – era intorno ai -220 gradi Celsius. In realtà, l’insediamento coloniale sorgeva sulla superficie dell’atmosfera ghiacciata del pianeta, uno strato di acqua e metano sotto cui si nascondeva un oceano di acqua. La vera superficie di Plutone era negli abissi profondi di quell’oceano.
I coloni avevano riscoperto, in seguito a quella vita ricca di difficoltà e di stenti, un grande valore che era stato sepolto da millenni di battaglie sanguinarie e di morti inutili: quello della solidarietà. Il giorno che la gigante rossa inghiottì la Terra, i pochissimi superstiti della spedizione originale (tenuti in vita dai primi progressi nel campo della genetica molecolare) crearono un governo unico, senza differenze di razze o religioni, vincolato al concetto di pace. Senza più rivalità e divisioni, iniziò a prosperare la ricerca scientifica, e con essa la civiltà umana fece un autentico salto di qualità.
Io sono nato in questa civiltà. Sono il figlio dell’esilio.
Sono un uomo 2.0.

La storia racconta anche che arrivò il momento di decidere la seconda fase dell’operazione “Arca di Noè”: con l’aumentare del calore sulla superficie del pianeta, l’atmosfera avrebbe ripreso il suo stato gassoso, e la città dei coloni – chiamata Canaan in ossequio a quanto scritto su un antico testo religioso – sarebbe inesorabilmente sprofondata nelle acque dell’oceano sottostante. Le alternative erano costruire una città sul fondo degli abissi, o in alternativa una città galleggiante. Venne deciso per questa seconda opzione: sarebbe stata inconcepibile per l’uomo, anche se 2.0, una vita lontana dalla luce.
Sono nato su questa città galleggiante, New Venis​, così chiamata in ricordo di un’altra città fondata sul mare, ricca di grandi opere di ingegno, ma scomparsa insieme alla Terra.
Sono cresciuto in un’azienda genetica insieme a centinaia di altri fratelli. Per il bene della specie, oramai la perpetuazione del proprio DNA avviene sotto rigidissimi controlli, per evitare mutazioni indesiderate. Il sesso ha una funzione esclusivamente ricreativa tra gli umani, o almeno quasi sempre.
Si può scegliere di essere fuori dalle regole, ovviamente accettandone le conseguenze.
Così può accadere che una donna decida di sospendere la propria cura infertilizzante per avere figli in modo “antico”: non controllati, non omologati.
Tutto ciò è possibile, ma si paga con una sorta di esilio burocratico: né lei né i suoi figli hanno più diritto ai vantaggi portati dalla tecnologia e dalla scienza. Può lavorare, produrre, vivere normalmente, ma diventano invisibili per la gestione della res publica.
Come se non esistessero.

Crescendo, venni selezionato per lo studio della genetica, a cui sembrava fossi naturalmente portato. Tutti i test da me sostenuti indicavano una grande abilità matematica e una facilità nella comprensione dei meccanismi biochimici che regolano la vita. Il mio futuro era segnato.
Iniziai a lavorare nella Corporazione Genomica, sfruttando le conoscenze acquisite nei millenni precedenti sulla trasformazione biochimica e biomeccanica dei geni​, sulla loro interazione e sui risultati che queste interazioni creavano nel corpo umano.
Riuscii a isolare un gene da un batterio che incorporava metano, processandolo e restituendo ossigeno e vapore acqueo all’ambiente, e lo impiantai con successo in un ceppo di alberi millenari, che venne coltivato sul pianeta all’esterno delle cupole. In capo a duecentocinquant’anni l’atmosfera di Plutone contenne in egual misura ossigeno e metano.
Nel frattempo, perfezionai lo stesso gene per l’impianto umano, e questo portò all’apertura delle cupole.
Il mio mentore si ritirò dopo pochi anni, lasciandomi a capo della Corporazione. Ottenni tutta una serie di vantaggi economici e sociali da questo.
Ma la cosa che cambiò radicalmente la mia vita non fu la promozione, ma il fatto di avere una segretaria personale. Era una creatura delicata e dolce, con dei grandi occhi scuri. Timida ma decisa, discreta ma intraprendente. Al tempo in cui la conobbi il mio corpo dimostrava circa quarantacinque anni dell’età terrestre. Lei aveva su per giù la stessa apparenza. Me ne innamorai perdutamente.
Era una reproba.

Scelsi di seguirla nel suo destino, e tornai a fare il semplice ricercatore. Iniziammo ad invecchiare insieme, lentamente, molto più lentamente del normale perché comunque gli impianti genetici che avevamo ricevuto prima della nostra “ribellione” non erano di ultima generazione, ma conservavano ancora parte del loro effetto.
E poi arrivò il momento di un nuovo salto: la fase di gigante rossa della nostra stella era durata circa mezzo miliardo di anni, ed ora il nucleo del Sole tendeva a comprimersi, mentre gli strati esterni venivano espulsi attraverso un potente vento solare attraverso lo spazio interplanetario. Del Sole, dopo tale processo, non resterà che una nana bianca avente le dimensioni della terra, che si spegnerà molto lentamente nell’arco di molti miliardi di anni fino a divenire un corpo oscuro simile alla Terra stessa, dunque non in grado di emettere luce.
I viaggi interplanetari avevano decretato senza appello la nostra totale solitudine nell’universo, e gli astronomi avevano localizzato un nuovo pianeta, abitabile, per l’uomo 2.0. Erano venuti da me, chiedendomi di partire con loro, dicendomi che le mie capacità sarebbero state necessarie ai nuovi insediamenti, garantendomi il ripristino della procedura degli impianti genetici periodici.
“Non potevo abbandonare il genere umano in questo momento”, così mi hanno detto.
Ho chiesto se c’erano navette per tutti. Mi hanno risposto di no.
Ho chiesto se anche la mia famiglia mi avrebbe seguito. Mi hanno risposto che non c’era abbastanza posto, e che sarebbe partito solo un campione selezionato di uomini, donne e animali per ripopolare la specie, com’era accaduto millenni prima.
Ho chiesto: “Chi è che abbandona chi, allora?”. Non mi hanno risposto.

Ed ora sono qui, seduto sulla veranda della mia casa, insieme alla mia famiglia: la mia compagna, i suoi figli, coloro che hanno riempito d’amore l’ultima parte della mia vita.
Guardiamo le scie delle navette che decollano in lontananza, con i campioni selezionati di umanità: dentro c’è anche un campione del mio DNA. Spero che aiuti l’uomo a realizzare la versione 3.0.
Il Sole si sta rapidamente rimpicciolendo, lo spazio intorno diventerà presto una bellissima nebulosa colorata. La temperatura cala rapidamente, tra qualche ora tornerà ad essere di 220 gradi sotto zero. Non ha importanza, tanto moriremo prima.
Abbraccio forte l’unico grande Amore della mia vita, i suoi ragazzi cresciuti senza impianti genetici sono oramai degli anziani, ma ai nostri occhi e nel nostro cuore resteranno sempre i piccoli che ci giravano intorno e che chiassosi giocavano con noi.
Nonostante tutti i progressi della scienza in milioni di anni, l’uomo non è riuscito mai a fare a meno del calore e della luce.
Mentre il Sole scompare in lontananza, faccio la scoperta più importante di tutta la mia carriera di scienziato: nessun Sole riesce a dare all’uomo il calore e la luce di un Amore grande e assoluto. Ci stringiamo forte e lei mi guarda, e mi scalda il cuore, e mi illumina la mente.
Stringiamo a noi i “ragazzi” per l’ultima volta.
Di noi resta adesso soltanto un monumento di ghiaccio su un piccolo sasso roteante perso ai margini di una nebulosa appena formatasi.
Un monumento all’Umanità.

©2013 Marcello Rodi