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“Come va la vita?”.
Domanda apparentemente semplice, ma che in certe fasi della nostra esistenza può diventare complicata in maniera terribile. Come va la vita…
La vita va, spesso ti trascina come una biga trainata da cavalli impazziti, e tu ti senti l’auriga scosso che ha la caviglia impigliata nelle briglie come nella scena del film Ben Hur con Victor Mature. Altre volte invece la senti nel tuo pugno, convinto di poter dominare gli eventi, e pensi di sapere come potesse sentirsi Giove quando si dilettava a scagliare fulmini giù dal monte Olimpo, o trastullandosi piacevolmente con le sue ancelle più belle.
Il problema è che spesso uno è talmente avviluppato dalla vita che non riesce a comprenderne il significato, come il visitatore del museo che osserva un bellissimo quadro esposto così da vicino da riuscire a vedere solamente le pennellate di colore, facendosi sfuggire il contesto generale.
Già, il contesto generale: bastano pochi passi indietro, e spesso sono così difficili da fare che non si riesce ad andare da nessuna parte.
In questo mi sento fortunato. Mi è capitato una notte, sveglio di fatica e di bagordi, dopo aver passato qualche giorno fuori casa per lavoro faticando troppo e mangiando male.
Si sa, quando si veglia la notte, e soprattutto quando ci si sente male, si tirano le somme come se la Nera Falciatrice fosse ad attenderci dietro la tenda della finestra, e ci stesse dando giusto il tempo di rimpiangere le poche cose buone che hanno costellato la nostra esistenza.
Bene, vi dicevo, la notte. Mentre combattevo con i dolori che salivano su da ogni fibra del mio corpo, imbibito di acido lattico, venni anche colto da una crisi ipoglicemica. Detta così sembra una cosa grave: in realtà era solamente quella che a Roma la saggezza popolare definisce “‘na botta de fame“. E’ probabilmente proprio la botta di fame che mi ha aperto la mente facendomi apparire chiaro il disegno cosmico della vita. Tanto che se non fossi così dannatamente pigro, potrei tranquillamente istituire un cenacolo filosofico e dissertare sull’argomento.
Potete girarvela e voltarvela come vi pare, ma le vostre vite, tutte le vite, ricadono sotto due grandi famiglie: il gomitolo ed il piatto di spaghetti!
Qual’è la differenza? E’ semplice, sono certo che se vi soffermate un momento a rifletterci potreste arrivarci facilmente. Ma sarò magnanimo e vi risparmierò la fatica.
Pensate a un gomitolo: ha un capo e una coda, è lineare; anche se avvolto su se stesso dà l’idea di qualcosa di strutturato, che sa bene dove inizia e dove finisce. Il gomitolo è sempre parte di un progetto, lo persegue e lo compie insieme a tanti altri gomitoli simili a lui come struttura, ma normalmente diversi in lunghezza, o in consistenza, o in colore. Nasce come un’entità ordinata, e quando finisce è entrato a far parte della storia in un modo o nell’altro: un maglione, una sciarpa, dei guanti, un cappello, una coperta, delle babbucce: oggetti che saranno gelosamente custoditi nel tempo spesso a grato ricordo di una persona che ci ha amato, o che semplicemente ha desiderato partecipare con noi ad una tappa della nostra vita.
Il gomitolo è perfetto: realizza lo scopo per cui è stato concepito, non esistono dubbi, deviazioni, possibilità alternative. Sa dove deve arrivare e ci arriva. Fosse la meta un figlio, una posizione lavorativa, un ideale, un amore, non viene mai perso di vista fino al suo compimento.
Diverso è il discorso per gli spaghetti.
Li vedi lì ammassati, aggrovigliati, non riesci a comprendere se ci sia un inizio o una fine, né una logica in tutto ciò. Coperti da sughi saporiti, gli spaghetti vivono della loro individuale inutilità e bellezza. Si intrecciano con i loro simili tanto che a volte non riesci a distinguerne lo sviluppo corretto. Sono deliziosi al palato, dando una effimera sensazione di completezza e di piacere. Ma quando l’ultimo di loro è stato tirato su dal piatto, ciò che rimane è solo del condimento inutilizzato, e loro stessi – una volta che hanno compiuto il tragitto assegnato dal destino – l’unica cosa che lasciano è un mucchietto di maleodoranti residui non proprio “politically correct“.
Ecco, in una notte di dolori e fame ho finalmente realizzato che la mia vita è un saporito piatto di spaghetti: non c’è un progetto, né una meta da raggiungere. Non resterò nei grati ricordi di nessuno, anzi il tempo farà rapidamente sparire anche i maleodoranti residui che deriveranno da me. La cosa non mi sconvolge né mi atterrisce: ha l’unico effetto di farmi temere un po’ di meno la morte, che come sempre si distingue per la sua infinita saggezza.

‘A morte ‘o ssaje ched”e?… è una livella.​
‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo,
trasenno stu canciello ha fatt’o punto
c’ha perzo tutto, ‘a vita e pure ‘o nomme:
tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò, stamme a ssenti… nun fa’ ‘o restivo,
suppuorteme vicino – che te ‘mporta?
Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
nuje simmo serie… appartenimmo â morte!​
(Antonio De Curtis)

E voi?
Siete gomitoli o spaghetti?

©2014 Marcello Rodi